Azzurro tenebra (2978 Click) |
| Titolo: Azzurro tenebra | | Autore: Giovanni Arpino | Titolo originario: ,,,,, | Traduzione: | Citazione bibliografica: Arpino, Giovanni (1977), Azzurro tenebra, Bur Rizzoli | Link acquisto: |
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Un cronista 47enne che si sente preso a mozzichi dalla vita, whisky e sigarette nella Germania libera dal Reich ed organizzatrice della Coppa del Mondo, il pallone, ma soprattutto una squadra, che diventano l'emblema del fallimento, non solo del mondo sportivo, ma di tutto un sistema complesso di cultura e valori.
Il cronista è Giovanni Arpino, la squadra è quell'Italia del Mundial '74, mostruoso ibrido fra quelli che erano stati gli eroi dell'Azteca solo quattro anni prima (Facchetti, Riva, Rivera, Mazzola, ma sarebbe maggiormente corretto rinominarli rispettivamente Mio Capitano, il Bomber, Golden boy, il Baffo...cosi come partoriti dalla brillante mente dell'autore, abilissimo nella sua prosa sincopata ad intravedere i personaggi che come una maschera si celano dietro le facce degli uomini) e i nuovi giovani, desiderosi di ribalta internazionale (riassunti brillantemente negli schizzi con cui viene disegnato "Giorgione" Chinaglia, la scheggia impazzita della Nazionale guidata da Ferruccio Valcareggi).
Dicevamo, "Azzurro tenebra" è la storia di una sconfitta, e già solo il tema, sufficientemente intriso di tragicommedia, nel migliore stile italico ("Gli italiani perdono guerre come fossero partite di calcio, e partite di calcio come fossero guerre", Churchill dixit), assicura la giusta dose di pathos al ritmo frenetico con cui Arp affronta, in modo cinico e disincantato, la spedizione degli azzurri, non più i limpidi eroi messicani, ma gli oscurati dalla "tenebra", l'elemento portante dell'opera con la quale tutti devono confrontarsi, sul campo o fuori, a seconda dei ruoli: la grandezza di Arpino è la resa perfetta di questo malessere che tutti attanaglia fin dal primo giorno di ritiro a Ludwisburg, sperduta cittadina del sud della Germania (invasa dal calore dei tanti emigrati italiani che si trasformerà in cieco furore dopo l'eliminazione al primo turno), il teatro dove si consumerà la tragedia sportiva degli "ultimi romantici, seppure in calzoncini corti".
Il dramma è inframezzato da uno splendido corteo di anime attorno al quale le azioni si svolgono, ognuna con una loro intrepida grandiosità, come Gauloise, Carletto Parola, l'inventore della rovesciata ed all'epoca allenatore della Juventus, il compagno di chiacchierate preferito all'ombra di squallidi bar odoranti di cipolla e di gin da due soldi aperti fino alle dieci di sera, nascosto da una nube di tabacco, che con l'autore condivide lo scetticismo spinto quasi fino all'alienazione ("Se vincesse sempre il migliore, ti saluto football"), o Il Vecio Bearzot, metà Clint Eastwood e metà fauno delle campagne friulane, spiazzante nella semplicità delle sue intuizioni ("Tutto era più rozzo, c?erano i nervi ma contavano come la pancia, la voglia, l?ignoranza"); gli acuti si hanno però nelle descrizioni dei compagni di viaggio del cronista, nella magniloquenza del Grangiùan Brera, la poesia al servizio dello sport (il narratore giura di averlo sentito declamare "I Pastori" di D'Annunzio prima della partita contro l'Argentina), nelle nevrotiche ed ermetiche telefonate alla redazione di Torino per la cronaca della partita, nella caricatura spinta fino al paradosso delle Iene, i giornalisti preventivamente contro, e delle Belle Gioie, i cortigiani dotati di taccuino e stilografica sempre pronti all'uso.
E' in questo scenario creato ad arte, da vecchio teatro greco, che Arp si muove, degustando e scolando fino all'utimo goccio di veleno la fragilità dell'esistenza errabonda dell'inviato giramondo, pittore espressionista di un quadro destinato già ad essere distrutto ed archiviato come "nient' altro che calcio".
Incredibilmente, alla lettura le partite della Nazionale sembrano quasi passare in secondo piano, inghiottite dalla malinconia imperante quasi come in un cerchio di fuoco, e del resto l'esito non sarebbe potuto essere diverso, perchè si tratta di una storia già scritta, emblema della nostra terra che puntualmente, ed oggi più che mai, ha sempre visto uno dei suoi più grandi impedimenti nel ricambio generazionale e nelle problematiche che esso comporta: già dalla prima pagina, sappiamo tutti come andrà a finire, ed è proprio per questo che la tensione di cui Arpino si fa portavoce diviene palpabile, penetra dentro di noi, restituendoci il clima di quei giorni fallimentari.
Due menzioni doverose: la prima è per i dialoghi che Arp riserva ad un pastore tedesco, appostatosi nei pressi del ritiro azzurro, parole che danno vita alle pagine migliori di tutto il romanzo, intrise di poeticità e commozione, la cartina di tornasole dell'esperienza in terra tedesca. Perfetto anche il finale, rappresentato dal ritorno a casa, desiderata come un' Itaca dorata per poi essere riassorbita anch'essa dalla routine della vita quotidiana: ci si accorge allora che l'opera di Arpino è un dono prezioso, e che tutto, il calcio, le partite, la vita stessa, devono solo aspettare il sopraggiungere dell'alba per essere viste, forse, in un' ottica diversa.
Qualcuno dice "il vero unico grande romanzo sul calcio", io dico: un cono di luce nella più profonda oscurità.
"Ma se smetti ti ritrovi inviato speciale e devi seguire guerre o processi. Non pentirti mai di questo povero pallone, amico. Sai cosa capita ai cosiddetti grandi inviati? Sifilide, alcolismo, solitudine". | Keywords: |
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Recensione pubblicata da TheDog il 29/03/2012 Ultimo aggiornamento effettuato da nanus il 30/03/2012 |